I Quaderni Viola sono nati da un piccolo gruppo di donne che aveva cominciato a riunirsi alla fine degli anni Ottanta nello spazio politico della sinistra radicale. I fascicoli non erano periodici ma venivano pubblicati alla fine di ogni discussione come risultato di un lavoro collettivo. Le discussioni e i testi nascevano evidentemente da un’esigenza polemica nei confronti del cosiddetto “femminismo della differenza” nella versione allora in auge, che aveva nella psicanalista lacaniana Luce Irigaray e nelle Libreria delle donne di Milano i suoi punti di riferimento. Di quel femminismo alcuni aspetti decisivi ci dispiacevano. Prima di tutto erano assai lontane dal nostro modo di pensare e di reagire la cancellazione della lotta dal suo orizzonte politico e la riduzione del femminismo a “pratica di parole”. A nostro avviso il riflusso delle mobilitazioni degli anni Settanta era stato un fenomeno quasi fisiologico, a cui non si poteva reagire con velleitari appelli all’agitazione e al conflitto. Una pausa di riflessione sarebbe stata comunque necessaria per elaborare la carica di sdegno e di passione che aveva dato vita a manifestazioni in cui vulve e streghe venivano evocate. Non era invece giusto fare di necessità virtù e promuovere la pausa di riflessione a nuovo e più evoluto femminismo, ostacolando ogni tentativo di dar vita ancora a un movimento, nel senso di qualcosa che si muove e non solo che parla. Individuammo allora l’avversario in un femminismo accademico, che aveva certo dei meriti, ma che tendeva a costruire più un uditorio di discepole che un collettivo di compagne. Ma più che l’accademia avversaria era una certa politica che si serviva del femminismo allora egemone come giustificazione di una metamorfosi, cioè di una dinamica di de-radicalizzazione e di crescente disinteresse per i bisogni e le aspirazioni delle altre donne.
La seconda cosa che ci dispiaceva era che la politica delle donne e la pratica propedeutica del “partire da sé” venivano sostituite da un dibattito complesso e talvolta astruso, di cui nell’ambiente che frequentavamo nessuna capiva nulla. Nel numero 5 della seconda serie dei Quaderni Viola Sara Garbagnoli e Vincenza Perilli spiegavano bene il fenomeno: “… non è fuori luogo ( anche se in molti casi sarebbe meglio che lo fosse) riferirsi al pensiero di Irigaray o di Butler nel corso di incontri pubblici nelle sedi di movimento con un’operazione di traduzione istantanea dalla teoria alla pratica, anche quando riguardavano questioni astratte e complesse.” Negli anni Ottanta l’assurdità era anche più evidente. La cosa strana e paralizzante era che, negli spazi in cui con le nostre avversarie condividevamo la pretesa di rifondare il comunismo, degli antefatti colti del femminismo che ci dispiaceva si discuteva solo molto, molto raramente. Essi venivano piuttosto evocati a giustificazione e sostegno autorevole di un femminismo “pratica di parole” finalizzate alla creazione di un gruppo di pressione per quello che oggi si chiamerebbe empowerment ma che allora (forse più realisticamente) considerammo un esperimento in vitro della formazione di una micro-burocrazia femminile. Fu per questo che decidemmo di entrare nel merito, facendo leva sulle competenze di alcune di noi e dell’area limitrofa. Eravamo “politiche” e in teoria non avremmo avuto alcun dovere di conoscere le tecniche di decostruzione di Derrida, che cosa davvero sulle donne volesse dire Lacan e le differenze tra Irigaray e Kristeva.
Una terza cosa di quel femminismo ci dispiaceva. Non ci piacevano anche i contenuti, al di là delle pratiche stesse: l’immaginario maternale proposto da Luisa Muraro che ne rivelava la formazione cattolica; un tentativo di dimostrare la differenza di pensiero delle donne che finiva col ricondurre agli stereotipi tradizionali; una visione delle relazioni tra donne gerarchica e non idonea quindi a sostenere le battaglie che pensavamo ci toccassero nella sinistra radicale. Con il senno di poi ammettemmo in qualche chiacchierata amichevole che l’intenzione polemica ci aveva costrette ad avvicinarci a temi e problemi da cui la nostra formazione ci avrebbe tenute lontane e di cui invece avevamo scoperto l’importanza. Quanto a me personalmente, in una fase della vita in cui ogni anno di vita è una conquista, è venuta più volte in mente una domanda. Valeva davvero la pena di investire due-tre anni a cercare di capire che cosa davvero volesse dire sulle donne Lacan per difendere il mio femminismo da qualcosa che aveva le sue radici altrove? L’intenzione polemica durò solo due numeri dei Quaderni, poi la nostra attenzione si rivolse altrove. Scoprimmo che c’era davanti a noi una prateria e che c’erano tante che felicemente ignoravano quelle diatribe senza fine.
Tra il 1993 e il 2000 furono pubblicati 6 quaderni, che solo in parte seguono le orme della discussione accademica con i suoi temi all’ordine del giorno, per la semplice ragione che avevamo bisogni e logiche tutte nostre. Un settimo quaderno, più simile nella veste editoriale alla nuova serie, uscì nel 2003 da una relazione nel contesto del Forum Sociale di Parigi Saint-Denis. Alcuni anni prima il gruppo che aveva dato vita ai Quaderni si era sciolto per identificarsi nella Marcia Mondiale delle Donne, una rete transnazionale che nel 2000 sembrò realizzare tutti i nostri auspici perché in 161 paesi del mondo aveva mobilitato un gran numero di donne su una piattaforma che ne raccoglieva quasi tutti i tradizionali e nuovi desiderata. La Marcia fu il femminismo più affollato e presente in ogni Forum del movimento cosiddetto no-global.
I Quaderni hanno avuto anche una seconda vita. Sono ri-nati non più con l’ambizione di costruire un gruppo stabile e omogeneo, ma come collana di piccoli libri di carattere divulgativo della casa editrice Alegre. Il gruppo fondatore non c’era più, anche perché aveva subito i processi di disgregazione della sinistra radicale. La Marcia aveva esaurito la sua spinta propulsiva. Gli intenti polemici si erano spenti e le nuove generazioni mostravano segni di inquietudine e desiderio di tornare alle manifestazioni e alle lotte. E proprio con redazioni giovani i Quaderni poterono continuare a vivere: più divulgativi, più militanti e con redazioni autonomamente responsabili della discussione e della stesura. Il primo numero Lavorare stanca, come il titolo di una raccolta di poesie di Cesare Pavese uscì nel 2008, l’ultimo Storia delle storie del femminismo nel 2017. Oggi quell’esperienza si è conclusa. E non perché di divulgazione non ci sia più bisogno, ma perché ho 82 anni, il fiato del Covid sul collo e problemi di salute anche maggiori di quelli propri dell’età. Sono certa di non fare torto a nessuna se dico che i Quaderni hanno continuato a vivere per il desiderio e per la mia ostinazione, negli ultimi anni per un bisogno di riposo che presto diventerà eterno.
I QUADERNI VIOLA hanno avuto una notevole diffusione, se si tiene conto dell’ambiente circoscritto a cui erano rivolti. E sono citati in centinaia di articoli e libri di diversi paesi. Due numeri (il primo della prima serie e l’ultimo della seconda) sono stati tradotti in castigliano. La collezione completa si trova nella biblioteca dell’Unione femminile di Milano.
Lidia Cirillo
Articolo già pubblicato in: https://www.storiastoriepn.it/quaderni-viola-larchivio/